Il 12 settembre, la Commissione per le Adozioni Internazionali, sotto la guida della sua nuova Vicepresidente, si è riunita e ha deliberato in via collegiale. Nulla di strano, se non fosse che la CAI non si riuniva più da tre anni, da quando nel giugno 2014 la CAI era stata convocata per formalizzare il suo insediamento.
Per oltre tre anni – così come ripetutamente segnalato anche dal Gruppo CRC negli ultimi Rapporti – la CAI non solo non ha mai deliberato collegialmente (decidendo monocraticamente ai sensi di una procedura prevista solo nei casi di urgenza) ma non ha neanche adempiuto a molti dei suoi compiti, così come regolamentati nel D.P.R.108/2007: non ha attuato gli incontri periodici con gli Enti Autorizzati, non ha promosso le consultazioni con le associazioni familiari, non ha rimborsato gli Enti per i progetti di cooperazione, non ha deliberato circa le richieste di operare in nuovi Paesi. Nell’ultimo periodo ha anche disattivato la linea telefonica con le famiglie e risulta aver inevaso la corrispondenza mail. Inoltre, non sono stati neanche attuati quei periodici controlli sugli Enti Autorizzati – pubblicamente annunciati – che lo stesso Gruppo CRC registra come mancanti ormai da molti anni.

Nel corso della riunione di settembre, la CAI ha dato conto della precedente gestione della Commissione dando atto di alcune inefficienze, in particolare nell’acquisizione e conservazione dei documenti, ma soprattutto rilevando “numerose irregolarità” nella precedente gestione relativamente alle quali è stata fornita ampia documentazione a tutti i commissari.
Nello stesso comunicato, appare chiara l’intenzione di far ripartire un sistema da troppo tempo interrotto: si annuncia la volontà di riattivare la Linea CAI per le famiglie, di ripristinare l’attività di monitoraggio e analisi e di fornire il supporto tecnico alle attività internazionali. Quanto agli accordi bilaterali sottoscritti con i Paesi Burundi, Regno di Cambogia, Cina e Cile – “di cui allo stato attuale non sono stati neppure reperiti gli originali e a cui non è stato dato alcun seguito effettivo” – si è valutata l’opportunità di attivare i canali diplomatici per verificarne l’attualità. Si è inoltre ribadita la volontà di procedere ai rimborsi delle spese sostenute dalle coppie adottive del 2011 e si è data comunicazione dell’iniziativa di istituire il fascicolo coppia digitale, in un’ottica di sempre maggior trasparenza dell’operato delle adozioni internazionali. Infine, viene dato conto di aver “deliberato di sottoporre a verifica tutti gli enti autorizzati ai sensi dell’art.15 del DPR 108/2007 a partire da quelli con plurime segnalazioni e/o altre rilevanti criticità (…) considerato che da diversi anni non vengono effettuati controlli sugli enti, come invece previsto dal citato articolo”. Il controllo – così come da tempo rilevato anche dal Gruppo CRC – consentirebbe innanzitutto di dare garanzia della regolarità delle adozioni internazionali oltre a ridare fiducia alla famiglie che sempre più difficilmente si accostano al progetto adottivo: dal 2010 al 2015 le disponibilità sono calate del 40% circa.

L’adozione internazionale, per continuare ad essere una risposta efficace ai tanti bambini in stato di abbandono, necessita in Italia di intraprendere un nuovo corso che solo una rinnovata gestione della CAI può realizzare, a partire dalle necessarie garanzie sulla legalità e correttezza delle procedure e del rispetto del superiore interesse del bambino, che possono avvenire soltanto implementando un sistema di stretta cooperazione e collaborazione con le autorità dei Paesi di origine.

A cura di Marina Raymondi, responsabile Centro Studi 69